12 Nov Bonus ristrutturazione: il convivente deve sottoscrivere un contratto di comodato?

Tra i soggetti ammessi alle detrazioni per interventi edilizi
c’è il familiare convivente del possessore o detentore
dell’immobile oggetto dell’intervento (il coniuge, i parenti entro
il terzo grado e gli affini entro il secondo grado).
Il contratto di comodato
Come riportato da diversi documenti di prassi del Ministero
delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, il contratto di
comodato non è necessario quando si dimostri che il
soggetto che vuole detrarre le spese sostenute e a cui sono state
intestate le fatture è convivente con il proprietario
dell’immobile su cui vengono effettuati gli interventi
agevolati.
Si riporta uno stralcio della Circolare n. 121
dell’11/5/1998:
“2.1. Familiari conviventi. La detrazione compete anche al
familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile sul
quale vengono effettuati i lavori, purché ne sostenga le spese (i
bonifici di pagamento devono, quindi, essere da lui eseguiti e le
fatture devono essere a lui intestate). A tale riguardo è
opportuno precisare che per familiari, ai fini delle imposte
sui redditi, s’intendono, a norma dell’articolo 5, comma 5, del
Tuir, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro
il secondo grado. Va, inoltre, chiarito che, in questa ipotesi, il
titolo che legittima è costituito dall’essere “un familiare”, nel
senso sopra chiarito, convivente con il possessore intestatario
dell’immobile. Non è richiesta l’esistenza di un
sottostante contratto di comodato e, pertanto, nessun
estremo di registrazione va indicato nell’apposito spazio del
modulo di comunicazione dell’inizio dei lavori che il soggetto che
intende fruire della detrazione deve presentare al centro di
servizio competente, né al predetto modulo va allegata alcuna altra
documentazione atta a comprovare tale situazione. Si fa tuttavia
presente che la predetta documentazione (consistente eventualmente
anche in una dichiarazione sostitutiva di atto
notorio attestante i fatti in questione) dovrà, invece,
essere esibita o trasmessa in caso di richiesta da parte
dell’amministrazione finanziaria. Si precisa, infine, che nella
indicata ipotesi la detrazione compete, ferme restando le altre
condizioni, anche se le abilitazioni comunali risultano intestate
al proprietario dell’immobile e non al familiare convivente che
fruisce della detrazione”.
I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate
Sull’argomento, c’è un interessante chiarimento dell’Agenzia
delle Entrate con la circolare n. 7 del 2018 in tema di detrazioni
per interventi di ristrutturazione. Essa ha precisato che “poiché ai fini dell’accertamento della stabile convivenza la
legge n. 76 del 2016 richiama il concetto di famiglia anagrafica
previsto dal regolamento anagrafico di cui al DPR n. 223 del 1989
(Risoluzione 28.07.2016 n. 64), tale status può risultare
dai registri anagrafici o essere oggetto di
autocertificazione resa ai sensi dell’art. 47 del DPR n. 445 del
2000“.
Inoltre, con la Circolare 50/E/2002, al paragrafo 5.1, l’Agenzia
delle Entrate ammette alle agevolazioni anche le spese
sostenute su un immobile che non risulta abitazione principale dei
coniugi:
“La detrazione per interventi di recupero di cui all’art. 1
della 27 dicembre 1997 n. 449 spetta anche ai familiari conviventi
del possessore o detentore dell’immobile sul quale vengono
effettuati i lavori. Da una lettura combinata della Circolare n.
121 dell’11 maggio 1998 e della Risoluzione n. 136 del 6 maggio
2002, è possibile ricavare che il familiare può usufruire
dell’agevolazione, se risultino a suo carico le spese dei lavori e
se risulti essere convivente del possessore o detentore
dell’immobile già all’avvio della procedura, ossia all’atto di
invio della dichiarazione di inizio lavori all’Amministrazione
Finanziaria. Non è invece richiesto che tale immobile sia
considerato abitazione principale per il proprietario o per il
familiare convivente, essendo sufficiente che si tratti di una
delle abitazioni su cui si esplica il rapporto di
convivenza“.
Per completezza, sul tema degli interessi passivi detraibili, la
Circolare 15 del 20 aprile 2015, a pagina 6, dispone che “con
riferimento al controllo del requisito della destinazione ad
abitazione principale entro i termini previsti dall’articolo 15,
comma 1, lettera b), del Tuir ai fini della detrazione per
interessi passivi, si fa presente che tale requisito può risultare
dai registri anagrafici o da autocertificazione resa ai sensi del
DPR 445 del 2000. Considerato, peraltro, che l’abitazione
principale non coincide necessariamente con la residenza
anagrafica, il contribuente con la suddetta autocertificazione può
attestare, altresì, che dimora abitualmente in luogo diverso da
quello risultante dai registri anagrafici”.
La Risoluzione 218 del 2008 ricorda, inoltre, che “la
circostanza che il contribuente dimora (o ha dimorato per un certo
periodo) abitualmente in un luogo diverso da quello risultante dai
registri anagrafici deve poter essere dimostrata sulla base di
circostanze oggettive, quali l’intestazione delle
utenze domestiche, l’utilizzo effettivo dei servizi connessi e
l’indicazione del domicilio nella corrispondenza
ordinaria”.
Conclusioni
Ma, a togliere qualsiasi dubbio sulla questione, intervengono le
istruzioni del Mod. 730/2023 che, a pagina 111,
affermano che “Per abitazione principale
si intende quella nella quale il contribuente o i suoi
familiari dimorano abitualmente. A tal fine rilevano le
risultanze dei registri anagrafici o l’autocertificazione
effettuata ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445,
con la quale il contribuente può attestare anche che dimora
abitualmente in luogo diverso da quello indicato nei registri
anagrafici”.
Source: lavoripubblici.it
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