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Bonus edilizi e cessione del credito: come viene tassato l’utile?

Bonus edilizi e cessione del credito: come viene tassato l’utile?

Nel caos normativo scaturito dalle tante modifiche intervenute
sugli articoli 119 e 121 del Decreto Rilancio, è emersa
un’opportunità di guadagno in ambito finanziario
che a molti sfugge: l’acquisto dei crediti maturati sugli
interventi edilizi
. I più attenti alla nascita di nuove
opportunità di investimento hanno maturato la convinzione che
l’acquisto di un credito d’imposta è un’occasione da non lasciarsi
sfuggire, soprattutto in un periodo dove l’aumento del tasso
d’inflazione, le fibrillazioni in ambito bancario e la non del
tutto serena situazione internazionale mette a rischio un deposito
bancario peraltro poco remunerativo.

Per meglio valutare l’opportunità e “pesare” la convenienza
dell’operazione, occorre inquadrare il trattamento fiscale dei
proventi generati dall’acquirente di questi crediti, acquisiti
«sotto la pari» e poi compensati nei modelli F24 al valore
nominale. Pertanto, si vuole fornire un quadro di riferimento per
comprendere se la differenza tra quanto si paga e quanto si riceve
nella cessione dei crediti è soggetto a tassazione. L’argomento è
ostico ma di grande rilevanza.

Occorre innanzitutto distinguere i soggetti cessionari:

  1. Imprese;
  2. Professionisti;
  3. Privati.

Distinguere i soggetti è fondamentale perché ad ognuno di questi
fa riferimento una norma fiscale diversa.

Credito acquistato da imprese

Inizialmente, con la risposta ad interpello 105 del 15 aprile
2020, nell’ambito dei redditi d’impresa, l’Agenzia delle Entrate
aveva laconicamente concluso che “ai sensi dell’articolo 88 del
TUIR, la sopravvenienza attiva pari alla differenza tra valore
nominale e costo di acquisto del credito concorrerà alla formazione
del reddito imponibile nell’esercizio in cui il credito è
acquisito
”.

Successivamente, l’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), su
richiesta dell’Agenzia delle Entrate, è intervenuto con un
documento del 3 agosto 2021 per chiarire gli aspetti contabili e
fiscali dei crediti derivanti da bonus edilizi. Richiamando
brevemente gli aspetti contabili, pur se non sono oggetto
dell’argomento qui trattato, alla domanda n. 4 “ricezione del
credito (cessionario) –  contabilizzazione nel bilancio della
società (cessionaria) che acquista il credito di imposta con
facoltà di successiva cessione
” ha risposto che “i
cessionari rilevano la differenza tra il valore di iscrizione del
credito tributario e il suo valore nominale in quote
costanti
, lungo il periodo di tempo in cui la legge
consente di utilizzare il credito in compensazione, a conto
economico nella voce proventi finanziari
”. In
pratica, il guadagno che deriva dall’acquisto dei crediti fiscali è
un provento finanziario da contabilizzare per
competenza,
quindi anno per anno.

Dal punto di vista fiscale, la collocazione del surplus
ottenuto dal cessionario tra i proventi finanziari determina la
tassazione dello stesso ai sensi dell’art. 96 del TUIR la cui
disciplina si applica ”agli interessi passivi e agli interessi
attivi, nonché agli oneri finanziari e ai proventi
finanziari ad essi assimilati che derivano da un’operazione o da un
rapporto contrattuale aventi causa finanziaria
o da un
rapporto contrattuale contenente una componente di finanziamento
significativa”
.

Per completezza, a parere di chi scrive non si ritiene che il
surplus ottenuto dal cessionario sulla differenza tra il
valore nominale del credito e quanto effettivamente pagato al
cedente possa essere considerato una sopravvenienza attiva ai sensi
dell’art. 88 del TUIR secondo cui “si considerano
sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte
di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in
bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi
conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a
formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta
insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività
iscritte in bilancio in precedenti esercizi
”. L’estemporaneità
del surplus derivante dall’operazione di cessione del credito non è
compatibile con la definizione fiscale di sopravvenienze attive che
derivano dalla realizzazione di ricavi o proventi determinati dal
conseguimento di voci di bilancio già presenti negli anni
precedenti.

Credito acquistato da un Professionista

I princìpi contabili richiamati dall’OIC non possono riguardare
i professionisti e soggetti assimilati. Pertanto, occorrerebbe
individuare la categoria di reddito in cui collocare il guadagno
derivante dalla differenza tra quanto pagato e il valore nominale
del credito. In mancanza di un chiarimento dell’Agenzia delle
Entrate, la dottrina prevalente afferma che il provento
rientrerebbe nella categoria dei redditi diversi,
ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-quinquies) del TUIR
la cui disciplina si applica “alle plusvalenze ed altri
proventi […] realizzati mediante cessione a titolo oneroso
[…]”
. Alternativamente, si potrebbe qualificare il reddito
percepito come reddito di capitale ed applicare
l’art. 44 comma 1 lett. h) secondo cui sono tassabili “gli
interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi
per oggetto l’impiego del capitale
[…]”.

A parere di chi scrive, è esclusa la collocazione del reddito
percepito nell’ambito dell’art. 54 del TUIR poiché la norma fa
riferimento solo al reddito derivante dall’esercizio di arti e
professioni. Non pare che una proposta di acquisto di un credito
d’imposta sia rilevabile tra le attività professionali o artistiche
nell’elenco tassativo dell’art. 54 del TUIR.

La tipologia di reddito cambia se il credito è acquistato per
mezzo dello sconto in fattura. Nel caso in cui il
Professionista sia stato incaricato dal committente per la
realizzazione delle progettazioni o delle asseverazioni e il
pagamento avvenga tramite lo sconto in fattura, l’acquisto del
credito con un addebito degli oneri finanziari al committente
sarebbe un’operazione che rientra nell’esercizio delle professioni
di cui all’art. 54 del TUIR. Nel caso del superbonus al 110%, ad
esempio, il 10% del credito d’imposta più gli oneri finanziari
rappresentano una sopravvenienza attiva soggetta a
tassazione. Così si è espressa l’Agenzia delle Entrate nella
risposta ad interpello n. 243 del 4 maggio 2022: “si ritiene
che rientri tra i compensi connessi alla prestazione professionale,
e come tale assoggettato a tassazione ai sensi del medesimo
articolo 54 del TUIR, anche l’eventuale corrispettivo pattuito con
il cliente per l’attualizzazione del credito ricevuto
“.

Per la tassazione si osserverà il principio di
cassa
.

Credito acquistato da privati

Per quanto riguarda l’acquisto dei crediti da parte di un
soggetto privato, la dottrina si è espressa quasi con consenso
unanime sulla non tassabilità del provento. Su questa teoria si
pongono però alcuni dubbi.

In primo luogo, è lecito domandarsi se la collocazione del
reddito percepito dai professionisti con partita iva nell’ambito
dei redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-quinquies)
o nell’ambito dei redditi di capitale di cui all’art. 44 comma 1
lett. h) non debba valere per i privati senza partita iva,
considerato che i redditi soggetti a tassazione in base a questi
due articoli del TUIR non riguardano redditi d’impresa nè redditi
professionali.

In secondo luogo, un’interpretazione favorevole al contribuente
dovrebbe essere estesa anche agli altri due soggetti, imprenditore
e professionista, qualora effettuino l’acquisto del credito
d’imposta in qualità di privati e non nell’ambito dell’esercizio
d’impresa o della professione, con utilizzo in compensazione del
credito solo con imposte e tasse personali (ad esempio, IRPEF su
locazioni di immobili, IMU e TARI sugli immobili non patrimoniali,
redditi di lavoro occasionale).

Occorre richiamare una vecchia Circolare Ministeriale, la n. 165
del 24 giugno 1998, che, in tema di redditi diversi e di capitale,
propose un nuovo principio qui di seguito riportato: “la
definizione di reddito di capitale non deve più ripetere
necessariamente la nozione civilistica di frutto civile, ma può
solo poggiare su di essa, riprendendo i caratteri strutturali della
categoria civilistica di frutto civile, definendo cioè come redditi
di capitale quei proventi che derivano da un impiego di
capitale
secondo uno schema produttivo analogo a quello
civilistico di frutto. Tale scelta comporta necessariamente
l’introduzione di norme di chiusura nella categoria dei redditi
diversi, con funzione di eliminare forme di elusione e, ove
necessario, di definirne la categoria in contrapposizione con
quella dei redditi di capitale
”.

La circolare sopra richiamata conduce ad una conclusione: la
stipula di un atto di compravendita di un credito fiscale ha come
funzione quella dell’impiego di capitale e, per tale motivo,
l’arricchimento derivante dall’utile ottenuto rientra nell’ambito
dei redditi di capitale.

La mancanza di un chiarimento da parte delle istituzioni lascia
una libera interpretazione degli operatori che, sicuramente, non
mette al riparo da future interpretazioni autentiche il cui effetto
retroattivo causerebbe importanti esborsi di imposte
imprevisti.

Per tale motivo, si ritiene assoggettare a tassazione le
differenze ottenute tra il valore nominale del credito e la somma
effettivamente pagata al cedente da qualsiasi dei soggetti
partecipanti al contratto di cessione.

Source: lavoripubblici.it

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